Fare la storia del Comitato romano del Centro Sportivo Italiano è raccontare anche la rinascita dello sport nella Capitale all’indomani della guerra, in un momento critico per l’Italia intera per gli esiti distruttivi di un lungo conflitto culminato nei tragici mesi della guerra civile che l’ha avvolta dopo l’8 settembre 1943 fino alla sua Liberazione, il 25 aprile 1945. Una rinascita che per certi versi aveva anticipato la fine della guerra, visto che già nel gennaio del 1944 il CSI nazionale aveva sentito la necessità di dar vita, ad opera della Gioventù Maschile di Azione Cattolica, a «un organismo specializzato analogo alla benemerita FASCI, già fondata nel 1906 per iniziativa del Consiglio superiore della Gioventù Cattolica Italiana», fatti naturalmente gli opportuni adeguamenti al nuovo periodo storico.
Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica e poi del CSI da lui fondato, è certamente tra i protagonisti di questo periodo, capace di tenere saldi i contatti con il Vaticano (e in primis proprio con la figura di Pio XII, che tanto dimostrò di aver chiaro il ruolo dell’educazione fisica e dello sport per i giovani e dunque per il futuro della società) e con il CONI. Già da questi pochi tratti del periodo post-guerra si intuisce che il Comitato romano del CSI ha avuto un ruolo importante nell’opera di ricostruzione dello sport e, volendo, sillogisticamente, della nazione. Ed è stato proprio Luigi Gedda che tra i tanti incarichi ebbe anche quello di presiedere la commissione del CONI “Impianti sportivi e Patrimonio sportivo di altri Enti” (ovvero della Gioventù Italiana del Littorio divenuta Gioventù Italiana nella Repubblica democratica), che affidò buona parte dell’impiantistica sportiva ai cattolici, in particolare al CSI che da subito si era impegnato per l’attività sportiva dei giovani, per esempio organizzando i Campionati studenteschi sin dal 1945. Ed è così che il Comitato romano,
dopo un paio di cambi di residenza, arrivò ad avere assegnata la splendida struttura del Lungotevere Flaminio 55, un’ampia palestra con affaccio sul Tevere, campi da tennis, da pallavolo, da pallacanestro e una pista di pattinaggio, una vera e propria «Scuola di educazione fisica» che sin dal dicembre 1944 era stata affidata alla direzione di Andreina Sacco Gotta perché la facesse rivivere con una nuova impostazione democratica.
Il passo successivo però fu quello del suo affidamento al Comitato romano alla fine del 1948, al suo neo presidente Bartolo Paschetta.
Come recita “Radio CSI”, supplemento della rivista del CSI “Stadium” nel numero del 10-25 dicembre 1948: «Non appena assunta la presidenza del Comitato Provinciale di Roma il Cav. Paschetta si è messo subito al lavoro per potenziare il Centro Sportivo nella Capitale. Prima fatica del Presidente è stata quella di trovare al Comitato Romano una degna sede: e questa (anche grazie all’appoggio della Presidenza Centrale) è stata trovata in una palazzina a Lungotevere Flaminio 55. La sede non poteva essere più bella e più adatta.»
Ed infatti la sede del CSI romano è di una bellezza particolare, che si è accresciuta negli anni. La sua posizione è incantevole dal punto di vista paesaggistico, come quella di altri circoli remieri dopolavoristici collocati lungo le sponde del Tevere, poco distante dal Ministero della Marina e dal suo circolo, e dal Ponte della Musica. La sede, che confina dunque con il circolo della Marina e con quello della Tirrenia Todaro, è tenuta con grande cura e mostra campi da tennis
e prati all’inglese invidiabili dalle stesse pelouse dei colleges del Regno Unito, spazi questi ultimi che si manifestano in tutta la loro naturale e vigorosa bellezza in estate, quando vanno a costituire il tappeto erboso che circonda la piscina da 25 metri (costruita nella seconda metà degli anni ‘70), eccellente luogo di refrigerio alla calura romana per chi la frequenta.
Fatte poche scalette, sempre adorne di variopinti ciclamini, entrando nell’atrio della Presidenza, si nota sulla destra una sfera di legno del diametro di circa un metro, fatta di listelli ricurvi collegati tra loro in un mirabile mosaico. Intuitivamente si pensa a un attrezzo in uso nella palestra quando questa apparteneva alla GIL, anche se non compare nulla di simile né in foto né in disegni dei testi di educazione fisica tra fine ‘800 e tutto il ‘900.
Oggi con certezza sappiamo che, se palle anche di grandi dimensioni si usano in palestra, queste sono di plastica, morbide, gonfiabili, e non certo rigide e di legno.
Quella sfera resta dunque un oggetto misterioso da decifrare, che probabilmente è stato usato nel periodo tra le due guerre, se gli studenti dell’ISEF che si recarono in questo locale per le lezioni di attrezzistica con il prof. Livio Urbani e con la prof. Alberta Manarini dagli anni ‘50 in poi, se ne ricordano ma non come attrezzo per esercitarsi, piuttosto come un oggetto inusuale con cui divertirsi, per esempio cercando di salirci sopra per stare in equilibrio. Ebbene, vogliamo
citare questa sfera volendoci leggere una metafora del Comitato romano: essa è infatti il risultato della giustapposizione di pezzi piccoli ma resistenti, tenuti insieme con un›arte magistrale di incastro da qualche artigiano, ricurvi per comprendere e racchiudere ma anche per dare elasticità, per adattarsi alle varie sollecitazioni mantenendo, attraverso il tempo, la sua capacità di scivolare su superfici diverse, ma soprattutto dotata di una sua particolare e inusuale bellezza.
Volendo trasferire la metafora a una lettura del Comitato romano, capiamo che non deve essere stata facile la vita di quest’ultimo, così vicino al nucleo centrale del CSI e pertanto destinato talvolta a fondersi con esso nelle sue attività. Se infatti è vero che ogni Comitato del CSI per Statuto e Regolamento è chiamato «a seguire le direttive del Centro», è anche vero che nelle singole realtà locali i Comitati sono riusciti ad avere una propria personale fisionomia e identità.
Tuttavia a Roma agli inizi è stato diverso, perché il Comitato romano sembrava muoversi connaturato al Nazionale, con una semplicità e con un’ovvietà che gli derivava dall’avere avuto in origine la stessa sede a via della Conciliazione n.3, oltre che finalità, intenti e programmi, e spesso anche gli stessi protagonisti, in una sorta di inevitabile fusione.
Inoltre l’ambiente romano ha avuto da subito la chance di cominciare le proprie attività all’indomani della liberazione della città: al Ministero degli Interni si parlava del CSI nazionale tre mesi e venti giorni dopo la cacciata dei tedeschi e a pochi mesi dalla nascita del Nazionale stesso. Il 24 settembre 1944 debuttò infatti la sezione nuoto di Roma nella piscina del Foro Italico, con ben sei squadre. Furono quelle le«prime «bracciate» del C.S.I.», a simboleggiare non solo la specialità sportiva che stava decollando per prima, ma anche la fatica quantificabile a bracciate per la ricostruzione nel dopoguerra. E il Comitato romano si prestò all’organizzazione di questo importante esordio sportivo nella Capitale.
Fatto un passo indietro, con la Pasqua dello sportivo del 20 maggio 1945 fu la Presidenza nazionale stessa a decidere di riprendere l’«antica tradizione spirituale della FASCI», indicendo la manifestazione a Roma e affidandola al suo Comitato Provinciale, per sviluppare il « significato che lo sport assume di fronte il pensiero cristiano», come commentò Luigi Gedda a compendio del discorso che Pio XII fece per l’occasione, pubblicato integralmente nel n.3 di “Stadium” il
25 maggio 1945.
Una sede quella del Lungotevere Flaminio per differenziare ruoli e attività rispetto al Nazionale, i cui intenti il CSI romano continuerà a seguire, conquistando gradualmente una propria fisionomia che si è andata colorando diversamente a seconda della personalità dei suoi presidenti che si sono succeduti nel tempo. Questi i loro nomi:Franco Recchi, il primo
traghettatore del Comitato verso forme pienamente organizzate cui attenderanno negli anni a venire Bartolo Paschetta, Generoso Dattilo, Vincenzo Natalizia, Giuseppe Pagella al suo primo mandato, Sante Mochi, Vittorio Ferrero, Mariella Bungaro, Alberto Lucantoni, ancora Giuseppe Pagella, Franco Mazzalupi, fino a Daniele Pasquini che ricopre attualmente il delicato compito della sua guida.
Trattandosi del Comitato di Roma, capitale storico-politico-sociale della nostra nazione, ci sembra utile ricordare che la sua sede è stata spesso frequentata da personaggi di rilievo della vita politica ed ecclesiastica, come per esempio l’on. Giulio Andreotti e il Cardinale Angelo Dell’Acqua, vicario del Papa per la Diocesi di Roma, presenti ai festeggiamenti della
stagione 1967-1968, che noi sappiamo essere stato un periodo importante per lo sviluppo dello sport di massa, basti pensare alla nascita dei Giochi della Gioventù e prima ancora ai Giochi olimpici di Roma che videro il Comitato romano organizzare nel 1960 la Pasqua dello sportivo al Palazzo dello sport dell’Eur in collaborazione con la Libertas e il Fiamma, Enti di promozione sportiva rispettivamente della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano.
Nella storia del Comitato va inoltre ricordato il debutto dell’attività femminile sotto la Presidenza di Vincenzo Natalizia, un’anticipazione di quello che di lì a poco sarebbe successo a livello nazionale. Ce lo testimonia una lettera, a firma di questo presidente al Comitato provinciale della FARI (la Federazione delle Associazioni Ricreative Italiane che per prima era nata nel 1944 ad opera della Gioventù Femminile di Azione Cattolica) del 22 settembre 1970, in cui è
specificato che all’interno delle attività e delle iniziative del Comitato per l’anno 1970-1971 erano state inserite quelle promozionali femminili e, «poiché la valorizzazione del ruolo specifico dell’uomo e della donna si potrà meglio capire se le soluzioni connesse a tale fenomeno verranno ricercate insieme», si chiedeva un incontro «amichevole» tra le due presidenze per «porre le prime basi per un proficuo lavoro da realizzare in comune». Parole profetiche documentate in Archivio ISACEM, che testimoniano la lungimiranza del movimento cattolico che ben intuiva la necessità di favorire, nonché tutelare, le donne «perché siano rispettati i presupposti morali e igienici dello sport femminile riguardo alle manifestazioni ed alle singole partecipanti».
Oltre a questa rara, per i tempi, attenzione alla cura delle ragazze e delle donne, colpisce anche quella che il CSI in genere, e in particolare quello romano per la sua vicinanza alle sedi delle Federazioni sportive, ha avuto per l’aspetto arbitrale nello sport. Alcuni dei suoi protagonisti hanno ricoperto infatti ruoli di spicco all’interno dell’organizzazione degli arbitri italiani. Generoso Dattilo, presidente del Comitato romano tra 1956 e 1959, era stato infatti anche direttore tecnico del CSI, oltre che tra i massimi responsabili nazionali e internazionali del mondo arbitrale del calcio, avendo anche designato gli arbitri di serie A, maestro di Lobello e di molti importanti arbitri italiani, tra cui si sarebbero formati anche alcuni dirigenti di diverse Federazioni. Tanta attenzione dei cattolici a questo delicato settore sportivo sottendeva da un lato la volontà di delineare la figura dell’arbitro come un “educatore in campo”, e dall’altro la volontà di sperimentare l’arbitro “polisportivo”, e quello romano fu il primo Comitato a farlo. Così a metà degli anni ‘60 esso ha avuto la primazia sulla creazione del settore sportivo giovanile frequentato dai ragazzi sotto i 14 anni.
Per quanto in controtendenza con l’esigenza che si sentiva, all’epoca del Vinnaj e del Margaria, di non permettere un’attività sportiva precoce, il CSI romano seppe armonizzare i due aspetti collocandoli all’interno di un contesto educativo. La partecipazione a gare per ragazzi al di sotto dei 14 anni era infatti in stretto rapporto con la polisportività. Se quindi non era precoce l’età in cui ci si avvicinava allo sport, restava piuttosto la contrarietà nei confronti della specializzazione, all’interno di un importante discorso pedagogico a più voci che si sarebbe poi imposto anche a livello nazionale.
L’ideazione di gare per ragazzi sotto i 14 anni collimò inoltre con l’impegno nel settore arbitrale, e il CSI romano dovette preparare i suoi arbitri per questo genere di gare giovanili, dal momento che la FIGC non mandava giudici di gara per settori che non erano stati ancora riconosciuti (e difatti le primavere sia della Roma che della Lazio si trovarono a giocare con le giovanili del CSI romano). In questo progetto fu coinvolto Franco Mazzalupi, uno dei presidenti più amati del CSI per il suo tratto di grande umanità, oltre che per la sua esperienza nel settore calcio e in genere in quello sportivo, in un mondo in cui ben si intuiva come fossero essenziali la cura e il rispetto della persona. Ricordiamo con affetto e stima Franco Mazzalupi anche perché si è sempre preoccupato delle periferie della Capitale, curandone la gioventù che altrimenti sarebbe stata a rischio di emarginazione. In questa ottica egli accolse con favore la nascita di una nuova Commissione presso il Comitato romano nel 2008, quella su “Sport e marginalità” fondata dallo psichiatra Mauro Raffaeli e da uno staff di tecnici e di esperti in psico-pedagogia.
Da non sottovalutare che il Comitato romano nel 1987 aveva già dato vita a un Notiziario, “Vivere CSI”, settimanale ciclostilato che attingeva le sue notizie a un discreto numero di attività svolte tra gli anni ‘80 e ‘90 nella Capitale, tra cui per esempio Aria aperta, Alla scoperta delle ville romane, Natale torball e molte altre tra cui le manifestazioni dimostrative di mini volley e arti marziali a v. dei Fori Imperiali su invito del Comune di Roma, con cui il Comitato romano collaborò negli anni cruciali della preparazione del Giubileo.
Un incarico ricorrente questo, a testimoniare una volta in più lo stretto rapporto da sempre esistito tra questo Comitato romano e la Diocesi di Roma, con una sentita attenzione per le fasce deboli della popolazione, per i disabili, per la terza età, per gli emarginati e per l’accoglienza degli stranieri da inserire in comunità.
La storia dunque ci racconta l’impegno sociale marcato che ha sempre avuto il Comitato romano, per certi versi ante litteram per i temi dell’inclusione maggiormente conosciuti ai nostri giorni. L’impianto del CSI Roma ha dunque avuto da sempre una vocazione inclusiva, e non elitaria come altri circoli sportivi della sua zona, aperto a chiunque volesse praticare attività sportive e al contempo offrendo l’occasione di fare cultura sportiva.
Basterebbe ricordare l’Olimpiade dei Circoli del Tevere del 1999, la Tevere Cup (la cui finalità era quella di «aggregare educando», accanto alle classiche gare di canottaggio disputate tra i circoli remieri sul Tevere, con lo scopo di riqualificare l’ambiente fluviale), quindi lo Sportgamescircuit, un percorso di Giocasport gratuito per i bambini delle scuole romane presso l’impianto del Flaminio, per arrivare nel 2000 a La città che gioca.
Quest’ultimo evento venne finalizzato a «incontrare lo sport giocando», per la promozione di un messaggio di educazione allo sport e alle attività motorie attraverso il Gioco-sport itinerante che [animò] le piazze del centro storico di Roma. Un progetto di aggregazione tra i giovani romani e i loro coetanei che [raggiunsero] la Capitale da ogni angolo del mondo in occasione dell’evento Giubilare». Un progetto completo che si avvalse dell’impatto visivo e scenografico dei luoghi romani più caratteristici pronti a fargli da palcoscenico.
Le attività del Comitato romano negli anni Duemila si sono di giorno in giorno arricchite di nuove creative esperienze, come per esempio l’Oratorio Cup e la Clericus Cup, che gli permettono di continuare a porsi al servizio del mondo giovanile ed ecclesiale, rimettendo al centro dell’attenzione generale lo sport come strumento di promozione umana e sociale. Se l’obiettivo dell’Oratorio Cup è infatti la presenza dello sport all’interno delle parrocchie e degli oratori, dove troppo spesso ancora manca, la Clericus affronta il problema alla radice: fare rientrare lo sport nell’esperienza di vita di sacerdoti e seminaristi è infatti il modo più solido perché domani possa abitare nuovamente i programmi pastorali di parrocchie ed oratori. Così vanno ricordati gli sforzi nell’adeguare la proposta sportiva ai cambiamenti sociali e culturali, in particolare dopo i difficili momenti del lockdown pandemico, che tuttavia non hanno mai tolto la speranza e la voglia di fare a tutto il Comitato, con crescente fiducia nel futuro.